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Verifica di fine anno pastorale 2012

 

 

Negli incontri con i vari gruppi al termine di quest’anno, ho già avuto modo di esprimere il personale disagio di chi avverte la propria presenza come la semplice necessità di guidare un’organizzazione già strutturata, per la quale l’unico sforzo richiesto è quello di far partire una macchina già occupata dai passeggeri e il cui percorso è già stabilito.  

In realtà, se una Parrocchia guarda alla storia nella quale vive e alle persone alle quali offrire il suo impegno, si rende conto che nessun viaggio è già scontato, ma è sempre necessario rivedere il percorso e chiedere alle persone se sono disposte ad intraprendere un nuovo viaggio. Fuori di metafora, una pastorale preconfezionata, che pretende di essere adatta a tutti i tempi e a tutte le persone, non solo non saprà annunciare Gesù Cristo, ma si rivelerà sempre superficiale rispetto alle esigenze della fede. Il tessuto sociale nel quale viviamo si rinnova continuamente: lo stile di vita, la mentalità, il modo di rapportarsi alla fede, la trasmissione dei valori, mostrano una storia completamente nuova rispetto a quella dei nostri schemi. La Parrocchia non vive più in una società prevalentemente cristiana, attenta e sensibile ai valori evangelici, e allo stesso tempo, oggi avvertiamo uno sguardo e un giudizio più severi sullo stile di vita della Chiesa e di quanti si dichiarano cristiani.

A me sembra che il contesto nel quale la nostra Parrocchia è chiamata ad operare  presenti due sponde, due modi completamente diversi di rapportarsi alla fede.  Da una parte la sponda della “tradizione” religiosa, che può rappresentare una ricchezza, almeno fino a quando non si riduce alla pretesa di soddisfare il bisogno del sacro, senza un profondo e sincero coinvolgimento. Dall’altra parte la sponda dell’indifferenza, a volte accompagnata da uno scetticismo o da un ostile anticlericalismo. Navigando tra le due sponde, la nostra Parrocchia assomiglia ad una barca dalla quale ci si limita a guardare il paesaggio che si attraversa, senza decidere verso quale sponda approdare. Ma la missione di una comunità cristiana è quella di incontrare tutti, su qualunque riva si trovino. Pertanto, la sua prima responsabilità è l’accoglienza, cioè l’impegno di incontrare ogni persona, chiunque essa sia, e l’accoglienza non la si fa con gli striscioni di “benvenuto” sul sagrato, bensì con atteggiamenti concreti, un volto sorridente, mani che stringono altre mani, parole dette con prudenza e con rispetto.  Ma lo stile di accoglienza lo s’impara prima di tutto all’interno della  comunità. Saremmo dei poveri presuntuosi se ritenessimo ci poter accogliere chi sta fuori, se non riusciamo ad accogliere chi sta dentro.

 

Allora, da dove cominciare?  Per quanto si tratta di una domanda sincera, la risposta più adeguata, non riguarda le cose che sarebbe opportuno fare, o il come farle, ma riguarda ciascuno di noi. Da dove cominciare? Comincia da te! E’ questa la risposta più opportuna che può aprire una breccia nel nostro modo spesso abitudinario di vivere la fede e il nostro servizio nella comunità.  La Parrocchia si rinnova se noi ci rinnoviamo e cominciamo a rimettere in discussione il nostro modo di essere, di pensare, di fare.  Questa disponibilità a rinnovarsi tocca prima di tutto coloro che vivono un impegno particolare in parrocchia. A volte, proprio le persone più generose e preparate sembrano più preoccupate nel difendere il proprio ruolo, che a comprenderne i motivi.

La nostra Parrocchia ha bisogno di uomini e donne che si sentono “chiamati” dal Signore a mettere in gioco i loro talenti per amore verso la comunità. Vale la pena ricordare che non sempre l’amore verso il proprio gruppo è sinonimo di amore verso la comunità. Anzi, l’eccessivo affetto per il proprio gruppo può rivelarsi un ostacolo alla crescita della Parrocchia.

Alla luce di questa responsabilità che tutti dobbiamo avvertire, vorrei in modo concreto, richiamare alcune realtà sulle quali far convergere la nostra riflessione per concordare insieme eventuali proposte per il prossimo anno.

 

a) Il Consiglio Pastorale Parrocchiale. Abbiamo tentato di eleggere il nuovo Consiglio pastorale parrocchiale, ma sembra che non ci sia stata molta convinzione a riguardo. Secondo alcuni, il parroco non ha insistito in maniera opportuna, dando l’impressione di non esserne convinto neanche lui. Sorge però un dubbio: non è che alcune persone aspettavano un invito personale del parroco per candidarsi? Se questo fosse vero, c’è da dire con molta franchezza che, ancora una volta, giochiamo sul protagonismo e dimentichiamo la responsabilità. Il Consiglio pastorale parrocchiale non è certamente “la soluzione” alle sfide della comunione ecclesiale e della pastorale, ma resta un organismo voluto dalla Chiesa per favorire la comunione e la responsabilità dei laici. Esso funziona se noi lo facciamo funzionare!

 

b) Il cammino di iniziazione. Alla luce dell’esperienza concreta di questi anni sarà opportuno riflettere su cosa intende la Chiesa quando parla del cammino di iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi. Quindi, alla luce della finalità del cammino di iniziazione, che non è la preparazione ai sacramenti, sarà necessario rivedere l’organizzazione del nostro progetto. Al cammino di iniziazione cristiana è intimamente legato il rapporto tra la Parrocchia e i genitori dei bambini e dei ragazzi. L’impressione è che dobbiamo lottare continuamente con le pretese che ognuno di noi rivendica: i genitori pretendono i sacramenti, noi pretendiamo la loro partecipazione. Forse è arrivato il momento di mettere da parte, ognuno le sue rivendicazioni e dare vita, poco per volta, ad un dialogo che aiuti ciascuno a capire la propria responsabilità.

 

c) I giovani. Avvertiamo in modo accentuata l’assenza di una fascia particolare di persone nella nostra Parrocchia. Ci riferiamo in particolare alla fascia che comprende i giovani dai 20 ai 30 anni. Già in passato abbiamo riflettuto su questa assenza, ma forse ci siamo limitati solo ad individuare eventuali colpe da attribuire a noi o ai giovani. Pur consapevoli che non ci sono “ricette” miracolose per affrontare la questione, dobbiamo individuare insieme eventuali strade da percorrere, senza pretendere facili o immediati risultati. Anche per i giovani è arrivato il momento di perdere più tempo a parlare “di” loro per poter, piano piano, cominciare a parlare “con” loro. Allo stesso tempo, cominciamo a sfatare un pregiudizio: non è il parroco bravo che attira i giovani (come dice qualcuno), ma è una comunità accogliente che sa farsi attenta a loro.

 

d) Le famiglie. Già lo scorso anno abbiamo preso l’impegno di una maggiore attenzione alla famiglie ed è necessario, quindi, chiedersi se abbiamo mantenuto fede all’impegno preso. Dobbiamo, comunque, mantenere tenere viva la nostra attenzione verso le famiglie e rinunciare alla pretesa di imporre loro un programma che non rispetta i loro tempi e la loro sensibilità. Non dobbiamo farci prendere dall’assillo della grande affluenza, ma offrire tempi e spazi in cui, con molta libertà, le famiglie possano sentirsi accolte e protagoniste. Il solito stile degli incontri, nei quali uno parla e l’altro ascolta, non è sempre efficace, soprattutto con loro.

 

e) La Scuola dell’Infanzia. Per quanto la presenza della Scuola parrocchiale a Bitritto rappresenti una lunga tradizione, di fatto l’impressione è che la responsabilità sia completamente delegata al parroco, sia nella gestione economica che scolastica. In questi anni, la prima preoccupazione è stata quella di rendere la Scuola economicamente autonoma, per non pesare sull’economia della Parrocchia. Di fatto, però, la strada è ancora lunga. Ma nonostante questa situazione di precarietà economica, in questo momento la necessità più grande che si avverte è il senso di responsabilità e di collaborazione da parte di tutta la comunità, perché paradossalmente, la Parrocchia gestisce una Scuola, ma non lo sa.

 

Certamente ci sono altre realtà sulle quali riflettere, perché sono tante le sollecitazioni che la Parrocchia avverte e alle quali cerca di rispondere. Tuttavia, senza avere la pretesa di poter rispondere a tutte, non dobbiamo dimenticare che la prima missione di una comunità cristiana è quella di annunciare la presenza di Cristo e di essere essa stessa testimonianza di questa presenza. Tutto il resto è finalizzato a questa primaria missione. Pertanto, dobbiamo tornare a sottolineare che l’impegno che ci attende è rendere la nostra Parrocchia più un luogo di comunione e di annuncio che una struttura ben organizzata.

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